L’alba vesuviana deve aver avuto il colore purpureo del fuoco e un acre sentore di zolfo. Un’eruzione violenta - oggi si direbbe pliniana, proprio da colui che, a costo della sua vita, ne fece la cronaca –, portatrice di distruzione e, al contempo, atto primigenio di vita.
Tutto nasce da una scintilla, una vite esplode da un seme, si fa strada tra le sabbie piroclastiche, distende le proprie radici, affondandole nella minerale giacitura di un suolo rinnovato eruzione dopo eruzione.
Di anno in anno e col passare dei secoli, la vite ne diventa memoria storica. Un elemento imprescindibile per le comunità umane che radicano nella chora vesuviana. Materia vivente, donatrice di salini nettari d’uva, resi ebbri da fermentazioni incontrollabili.
Racconti che dal fuoco estrinsecano l’anima di un territorio, tramandandola in imperitura memoria.
IL LACRYMA CHRISTI ROSSO: IL VESUVIO IN VINO
Lagrime cadenti da “lambicchi”. Sinuose gocce di vivido estratto di territorio. Si addensano, si rimescolano, fermentano, affinano. Ospitate in recipienti bui, custodi di segreti che solo dalla bottiglia potranno essere raccontati.
Dolia, legni e acciai, la storia ha provato la circolarità del tutto, rieducandosi ai corsi e ricorsi. Materie che si rincorrono, vengono dimenticate e ritornano quando sembrano perdute nel tempo.
Il Lacryma Christi, organo imprescindibile del paesaggio vesuviano, da secoli rappresenta la materia vino del nostro territorio. Storicamente prodotto in tutto l’areale. Dalla finezza del versante nord, alla potenza organolettica del versante sud.
Il Piedirosso ne è l’alfiere. Uva complessa, dalla storia profonda, eppure ancora tutta da scrivere. Varietale apicale, fruttifica con potature lunghe e solo sulle gemme finali. Dotato di grappolo spargolo e buccia degli acini sottile. In vigna e in cantina è un “avversario” da tenere a bada.
Nel calice è femminile, talvolta di bellezza austera, spesso di fragorosa delicatezza. Può declinarsi in centrato frutto o schiudersi in sensazioni piroclastiche.
In bottiglia affina bene, talvolta ossidoriduce. All’apertura, ha bisogno di distendersi, di ritrovare delicatezza e fascino.
Nel calice ammalia in eleganza, sempre salino, talvolta setosamente tannico. Sbuffa di macchia mediterranea, di frutteti e rocce annerite dal fuoco.
Sorso lavico per degustazioni “pliniane”.
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